E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te. (John Donne)
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Le campane non suonarono la fine della Grande Guerra, non celebrarono una vittoria. Non si ebbero i rintocchi per quel soldato italiano – Giuseppe Pezzarossa – un 19enne caduto a Udine mentre i trombettieri suonavano il cessate il fuoco.
Quei campanili segno del territorio del Friuli rimasero in silenzio. Ma non per cattiva volontà di qualcuno, o per scelta: semplicemente perché a Udine le campane non c’erano più.
A Udine, il 13 luglio 1918
Campane al servizio della guerra
Le campane della regione sono state portate via a partire da fine Novembre dell’anno prima. A Udine il 13 luglio 1918 vengono smontate dai loro alloggiamenti, rotte e trasportate in Austria e in Germania come materiale metallico, bottino di Guerra.
Gli austriaci iniziano a requisire le campane anche nei loro territori fin dal 1914. Solo alcune si sono salvate, di importante valore storico-artistico, nelle zone appartenenti alla Diocesi di Gorizia, Trieste, Capodistria, Pola, Parenzo e Fiume.
Viene lasciata sopra ogni campanile, per esigenze di culto, una sola campana, raramente due. A Udine invece vengono requisite tutte.
Un saccheggio senza pari
La maggior parte dei macchinari e delle materie prime delle industrie friulane seguono presto la stessa sorte, portate verso l’Austria e la Germania. Dalla sola Udine partono circa 475 vagoni con materie prime e attrezzature.
Tra la fine di Ottobre e il Novembre del 1917 il Friuli e Udine patisce uno dei più grandi saccheggi mai visti, un saccheggio violento e indiscriminato. I protagonisti non sono solo i soldati tedeschi e austro-ungarici in avanzata ma anche i soldati italiani in fuga.
Udine, via della Posta – Archivio Civici Musei di Udine
Sono anche molti civili delle città e dei paesi ad approfittare del disordine e della criticità della situazione per prendere beni e generi di prima necessità nelle case lasciate abbandonate da chi era riuscito a lasciare il paese.
Quando ho scritto il libro sulla Società Antonio Volpe ho avuto la fortuna di parlare con la moglie di uno degli ultimi Volpe. Mi ha raccontato che le vecchie zie, le sorelle di Giovanbattista e di Emilio, erano scappate in Toscana per l’invasione austriaca dopo la disfatta di Caporetto.
Al rientro erano andate casa per casa dai contadini e vicini, per recuperare i loro mobili trafugati dalla loro villa quando era stata lasciata disabitata.
Le fabbriche della Guerra e la liberazione
Dopo i saccheggi, le maggiori fabbriche di Udine vengono anche occupate. La Società Anonima Antonio Volpe di Via Grazzano 10 viene spogliata dei famosi stampi metallici e poi occupata dalle Officine Meccaniche dell’esercito del generale Boroevic.
A darci questa notizia è il tenente D’Attimis che, infiltratosi a Udine nel settembre del 1918, riesce a farsi assumere per pochi giorni all’interno della ex fabbrica Volpe come tornitore.
Le sue mani – che non hanno mai lavorato in fabbrica – però lo tradiscono e solo il capo-officina riesce a celare la sua identità per qualche giorno. Il tempo necessario per trasmettere notizie al comando che stava preparando la controffensiva.
La fabbrica della ditta Moretti invece viene utilizzata dai tedeschi e dagli austriaci per fare gassose, salumi e altri generi alimentari per i loro eserciti con macchinari precedentemente trasportati, da Lubiana.
La liberazione di Udine avviene tra il 3 e il 4 novembre 1918. Esattamente 100 anni fa.
Il tempo sospeso del legno curvato
Dal punto di vista dell’arredo del mobile in legno curvato la guerra ferma i nuovi modelli per anni. Gli oggetti pensati prima della guerra da Otto Prutscher per la Thonet, da Max Fabiani per la Volpe così come quelli di Josef Hoffmann per la Jacob & Josef Kohn hanno insiti delle caratteristiche del gusto Decò che solo dopo l’Esposizione del 1925 a Parigi, riprende vigore ed esplode nel vecchio continente.
Diversi mobili esposti dalla Gebrὔder Thonet su disegno di Otto Prutscher, presentati prima a Colonia (1914) e poi sulla rivista interna Zentral Anzeiger tra il luglio e il settembre del 1915, sono infatti già in quello che poi sarà definito come stile Decò.
Un cambio di stile sembra la soluzione migliore alle aziende leader del settore per riprendere slancio dopo un rallentamento del mercato per i cosiddetti mobili moderni che tanto successo hanno avuto nei primi anni del Novecento.
Il mondo del legno curvato (e non solo quello) dopo la Guerra non fu più lo stesso. Pochi anni dopo la Gebrüder Thonet, la Kohn e la Mundus si uniscono in un gruppo unico per far fronte alle problematiche del mercato europeo e mondiale colpito da una crisi che sfocerà nel crack del 1929.
La Volpe pagherà la morte dei due fratelli, anima, cuore e cervello di una azienda unica. Tra il 1921 e il 1922 muoiono infatti sia Giovanbattista Volpe che suo fratello Emilio.
Il tavolino della J.& J. Kohn disegnato da Josef Hoffmann nella sala a Colonia 1914
Né vincitori, né vinti
Come già detto nessuno potè suonare le campane. Ma forse è meglio così. Per chi avesse potuto vedere contemporaneamente Udine o Vienna – alla fine della guerra – sarebbe stato evidente che non c’erano vincitori.
Una generazione che aveva vissuto continui miglioramenti della vita quotidiana, che aveva vissuto un periodo di quasi mezzo secolo senza grandi conflitti tra le nazioni europee, era entrata in guerra pensando che questa sarebbe durata poche settimane e che non avrebbe colpito il meraviglioso clima culturale e sociale dei primi anni del ‘900. Un errore madornale.
La Guerra era finita ma quale era stato il prezzo da pagare? Il diciannovenne Pezzarossa viene colpito in fronte da una pallottola alle ore 15.00.
Come i finlandesi che, durante la II Guerra Mondiale, contro i soldati russi sparano tutte le cartucce rimaste prima della resa concordata (come ci ha raccontato magistralmente Indro Montanelli) così uno sconosciuto soldato austroungarico sfoga la sua rabbia sparando fino all’ultimo secondo.
Sa che la guerra è persa ma probabilmente è anche al corrente di quello che si pativa a Vienna, dove l’epidemia della spagnola e le ristrettezze di una guerra prolungata aveva mietuto una infinità di vittime illustri e ancora di più sconosciute ma non meno importanti.
Quello che non può immaginare è che il suo mondo non sarebbe stato più quello di prima della guerra. La sua rabbia e la morte di un giovane di 19 anni sottolinea, se possibile, l’inutilità di quel massacro durato anni.
Nel 1921 le nuove campane trovano casa – Benedizione a Chiavris
Dedicato a Giuseppe Pezzarossa
Mi viene in mente la poesia di Walt Whittman, la sua opera più famosa. Anche le sue parole descrivono un momento che dovrebbe essere di festa, di vittoria, di completamento di un percorso. Un momento in cui le campane si odono, in cui c’è l’amarezza di una sconfitta, in questo caso una perdita importante.
Al giovane soldato Giuseppe Pezzarossa vogliamo oggi dedicare questa poesia. A lui e alla speranza e fiducia in un mondo migliore. Perché anche dopo il più cupo e gelido inverno, anche quando sembra impossibile e tutto sembra essere perduto, la primavera ritorna e con lei l’inizio di una nuova vita, per tutti.
O capitano! Mio capitano!
O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.
O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgi – per te è issata la bandiera – per te squillano le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri – per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.
Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
la nave è all’ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.
Nicole
2 Novembre
Grazie per ricordarci oggi la fine di una guerra sanguinaria e drammatica che portò il mondo in un’epoca totalmente nuova non solo per il faggio curvato e le aziende oggi conosciute come Thonet ma anche tecnologicamente. Dobbiamo sempre ricordarlo ai nostri figli!
Manuela Lombardi Borgia
3 Novembre
Proprio così Nicole. Non c’è futuro senza memoria e la memoria è labile, dopo un po’ si dimentica di come basti poco, pochissimo per ritornare nel baratro. Ma c’è sempre modo di essere una umanità migliore, anche solo ricordando. Noi ci proviamo. Grazie, Un abbraccio cosmico.
Fernando Cossaro
19 Maggio
Grazie di questo articolo circa il destino delle campane in Friuli, cercavo appunto informazioni per quelle di Marano Lagunare.
Manuela Lombardi Borgia
20 Maggio
Grazie a te Fernando!