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Ne abbiamo già parlato nel post della culla della Jacob & Josef Kohn, attribuita a Josef Hoffmann, oggetto molto raro di cui ho fatto recentemente una expertise:
le culle, come i dondoli, sono una parte importante di quegli “arredi dondolanti” in legno curvato, fondamentali nella tradizione e nel successo dei mobili della Thonet e della stessa Kohn.
Eppure, nella sua pura italianità, anche il modello n. 80 della Società Anonima Antonio Volpe da Udine è un elemento importante in questa storia.
Dal vivo come nel catalogo del 1822
Una culla davvero originale
Viene prodotta dopo la prima guerra mondiale, probabilmente pensata e disegnata immediatamente dopo la conclusione del conflitto.
Agli inizi della sua produzione, alla fine dell’800, la Volpe si ispira alle forme tracciate dai due colossi viennesi nel legno curvato. Il modello ottocentesco n.50 è praticamente una perfetta emulazione proprio dei modelli della Jacob & Josef Kohn.
La culla n.80, invece, da subito appare assolutamente svincolata da qualsiasi modello delle due aziende austriache. Destino vuole che, proprio per la sua originalità e incredibile fattura, sia stata per anni attribuita dal mercato antiquario e da diverse pubblicazioni in lingua tedesca proprio alla Jacob & Josef Kohn.
Il segno distintivo dell’ellisse
L’utilizzo di figure geometriche, in particolare l’ellisse, che si sommano costruendo un cestello di rara bellezza è infatti inusuale e riporta in effetti alle geometrie tipiche della Secessione viennese di inizio 900. Ma questa culla ha qualcosa in più.
E anche in questo caso, un’attribuzione al genio creativo di Max Fabiani è assolutamente possibile e inevitabile. Anzi, un suo scritto sembra davvero perfetto per descrivere la culla. Lo abbiamo riportato all’inizio del post.
Inoltre, il periodo in cui viene concepita la culla è guarda caso lo stesso dei due dondoli capolavoro della Società Anonima Antonio Volpe, i modelli n.267 e n.269. Quello in cui, per la prima volta Max Fabiani si trova senza lavoro e inizia la sua attività di urbanista tra Gorizia e Udine.
Dettagli della culla capolavoro della Società Anonima Antonio Volpe da Udine
Contaminazioni friulane da Vienna
Questo oggetto d’arredo è l’emblema del pensiero del grande architetto. La struttura viene svuotata da qualsiasi elemento superfluo lasciando poche forme geometriche a costruzione del cestello.
Solo un architetto dal pensiero puro e fortemente contaminato dalla scuola della Secessione viennese può avere immaginato un oggetto con questa resa estetica e funzionale. E solo un’azienda friulana, le migliori a piegare il faggio, può essere stata in grado di realizzare quel pensiero e trasformarlo in un oggetto di rara complessità e bellezza.
La culla viene esposta alla Fiera di Milano nell’aprile del 1923, nel nuovo padiglione del Friuli, e questo da l’idea che forse è l’ultimo prodotto sotto la direzione d’azienda di Giovan Battista Volpe. In quello che sembra più un villino che un padiglione fieristico, sono raggruppati i prodotti di più di cento fabbriche friulane.
Un’icona di bellezza
Dalla Patria del Friuli e dal Giornale di Udine viene descritta questa culla in color noce con dei veli rossi, tanto bella che è superfluo avere dei bambini per volerla acquistare.
Nel catalogo Volpe del 1922 la culla è uno dei pochi mobili con una nuova numerazione che in questo caso non è più progressiva ma sostituisce prodotti non più in produzione.
Nello stesso catalogo rimane uno dei modelli più costosi, quasi il doppio del dondolo n. 267. Per poi scomparire nei successivi cataloghi della seconda metà degli anni Trenta.
Se è vero come dice Brunello Cucinelli che:
la bellezza salverà il mondo, se il mondo salverà la bellezza
ecco che Max Fabiani e la Società Antonio Volpe possono affermare di avere fatto grandemente la loro parte.
Mai parole sono più rappresentative della loro opera e della loro passione.
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