La Cattedrale della Secessione: il Palazzo Stoclet a Bruxelles - Legno Curvato
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La Cattedrale della Secessione: il Palazzo Stoclet...

La Cattedrale della Secessione: il Palazzo Stoclet a Bruxelles

Palais-Stoclet-Hoffmann

Ricevuti in modo principesco abbiamo “invaso” questa strana dimora, questo sogno di un Nababbo, questo tempio misterioso dove il genio di un architetto viennese ha potuto senza nessun ostacolo dispiegare tutte le risorse della propria immaginazione.” (da L’escursion des architectes belges del 22 september –Settembre 1912- Tekne nr. 79)

Argomenti dell'articolo

Ogni stile d’arte o di architettura ha la propria “cattedrale”. Un luogo dove si celebra un modo di vedere il vivere quotidiano.

Dove gli stilemi che danno forma all’anima dei suoi creatori trovano la loro massima espressione.

Un esempio è l’Hotel Tassel di Victor Horta a Bruxelles. Vera “cattedrale” del Liberty.

Sempre a Bruxelles c’è anche quello della Secessione ed è Palazzo Stoclet. Un capolavoro di Arti Applicate che gli appassionati di questo periodo storico e dei suoi protagonisti deve conoscere e poter ammirare.

Genesi di un capolavoro

Palazzo Stoclet viene costruito tra il 1905 e il 1911. È questo l’anno in cui nella capitale Belga giunge il fregio su marmo che Klimt aveva disegnato per la sala da pranzo, e che segna la fine dei lavori.

Il disegno dell’opera su cartone è oggi visibile nelle sale del Mak a Vienna. Ed è qui, nella capitale dell’Impero Austro-Ungarico, che nasce il progetto del Palazzo Stoclet, dall’incontro tra Adolphe Stoclet e Josef Hoffmann.

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Siamo tra il 1902 e il 1903. Stoclet appartiene a una delle più potenti famiglie dell’alta finanza del Belgio. È sposato con Susanne Stevens, figlia di un famoso critico e mercante d’arte.

Adolphe nasce nel 1871 e si laurea in ingegneria specializzandosi nel ramo delle ferrovie. Nel 1894 è a Milano, dove si fermerà per 8 anni lavorando per le Ferrovie Nord. Contro il volere della sua famiglia sposa Susanne Stevens e qui inizia la sua famosa collezione di opere d’arte.

Vienna caput mundi

Nel 1902 viene trasferito a Vienna per riorganizzare la ferrovia Vienna-Aspan. Durante le loro passeggiate tra le vie della città, Adolphe e Susanne rimangono affascinati dalle case della Hohe Warte progettate da Josef Hoffmann.

Chiedono a uno degli abitanti, Carl Moll, di visitarne l’interno e di conoscere personalmente l’architetto viennese.

Moll, patrigno di Alma Malher, è infatti Presidente della Secessione. Nel suo famoso giardino bazzicano i maggiori artisti protagonisti della grande Vienna. Oltre a Gustav Malher vengono spesso Gustav Klimt, Koloman Moser, e anche Josef Hoffmann.

Fin dal primo incontro Stoclet si dichiara suo grande ammiratore e agli amici racconta che quando deciderà di costruirsi una casa, Hoffmann ne sarà l’architetto.

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Palazzo Stoclet, Bruxelles

E così accade. Prevedendo di doversi fermare a lungo a Vienna, Stoclet incarica Hoffmann di costruirgli la casa sempre all’interno della Hohe Warte. Richiamato in patria dopo la morte del padre, Adolphe non rinuncia ai servigi di Hoffmann.

Palazzo Stoclet non è una casa normale, e non solo nelle dimensioni. La richiesta è sì di una abitazione, quasi un “castello” direi, ma anche di un luogo dove ogni parte dell’edificio si possa fondere con la bellezza e la preziosità degli oggetti contenuti.

Un contenitore che diventi esso stesso un’opera d’arte.

Nella primavera del 1906 il progetto viene depositato presso il Comune per la licenza edilizia. La costruzione è in un’area nuova, residenziale ed elegante, ancora in una logica edilizia Ottocentesca.

E Palazzo Stoclet si rivela subito una forte discontinuità rispetto a tutto quello che si trova intorno.

Collezioni nel gusto della WW

Eccetto delle stampe giapponesi, la collezione Stoclet non comprende nessun oggetto risalente a un periodo tra il 1475 e il 1900. Gli oggetti sono tutti antecedenti.

Sono italiani ma anche sumeri, egiziani, messicani, peruviani, persiani oltre che giapponesi e cinesi. Sono del periodo in cui l’arte nasce o è alla prima fase della sua evoluzione.

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È una collezione geograficamente vastissima ma con una forte coerenza di gusto che coinvolge materiali, tecniche, forme. Ci sono avori, rami,bronzi, smalti. Una tipologia di gusto perfettamente coerente con il gusto di Josef Hoffmann e con i materiali e gli ideali della Wiener Werkstätte.

La cura di ogni dettaglio

Per questo Palazzo/Museo nulla viene lasciato al caso. Hoffmann e la sua squadra pensano a tutto, fino al minimo dettaglio.

Io sono andato a vedere da fuori il Palazzo Stoclet. Non sono entrato. L’ingresso costa intorno ai 10.000 €uro. Qualche “zero” di troppo per sentirmi a mio agio nel decidere di accedervi.

Ma anche dall’esterno si coglie perfettamente l’attenzione ai particolari. Dalle inferriate della più insignificante piccola finestra, al taglio delle lastre che ricoprono le facciate. Una perfezione assoluta che Hoffmann ci ha già fatto incontrare più volte su questa terra.

Lui pensa a tutto: agli elementi architettonici, agli arredi interni ma anche ai tessuti, alle tende e alle sovra coperte per i letti. Fino a un libro rilegato dove vengono annotati i nome degli ospiti.

Ogni singolo particolare è un atto creativo del pensiero e della matita del suo progettista, nel più puro spirito dell’Arte Totale della Secessione viennese.

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La sedia del Palazzo Stoclet a Bruxelles disegnata da Josef Hoffmann

I miei arredi ex Stoclet

Per gli abitanti di Bruxelles, Palazzo Stoclet diventa  lo“Stocleon”. I suoi occupanti vi si rinchiudono sempre più a lungo, diradando sempre più le occasioni mondane della comunità di Bruxelles. Solo pochi personaggi di grande spessore o avvenire vengono accolti all’interno del Palazzo.

Ho avuto la fortuna di avere tra le mie mani due sedie il cui modello è utilizzato da Hoffmann per l’arredo della camera dei bambini all’interno del Palazzo Stoclet. Vennero anche utilizzate nel 1908 all’interno della Kunstschau.

E pochi anni dopo anche una poltrona dello stesso modello. Sedute che saranno inserite a catalogo Kohn con il modello n.396 e n.397 e prodotte per pochissimi anni.

Un modello diverso da tutti quelli che sono a catalogo sia nella Gebrüder Thonet che dalla Jacob & Josef Kohn. Un sedile ovale traforato da 9 quadrati. Uno schienale anch’esso ovale e con un piccolo intarsio sempre con forma ovale, nel centro.

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6 olive piccole e allungate cingono le gambe. Una forma insolita per la Kohn che in questa parte della seduta aveva utilizzato delle sfere con forme e agganci diversi in diversi modelli. Come nella Fledermaus o nella poltroncina rivoluzionaria di cui abbiamo già scritto.

Una forma, quella dell’oliva, che verrà invece ripresa dalla concorrente Thonet pochi anni più tardi quando dovrà “copiare” i modelli di punta del duo Siegel/Hoffmann, dandone una prova versione.

Modelli unici che precorrono i tempi, vere e proprie “opere d’arte” che non potevano che essere accolte all’interno della Cattedrale della Secessione. E voi, conoscevate già la storia di Palazzo Stoclet? Raccontatecelo nei commenti.


Ho comprato la mia prima sedia Thonet a vent’anni e oggi sono uno dei massimi esperti al mondo di legno curvato, lo stile viennese nell’arredo. Nato architetto, mi occupo di consulenza e formazione sulla storia Thonet, di expertise e curatele per vari musei europei. Sono autore di vari libri sul legno curvato, l'ultimo sulla Società Antonio Volpe, ma anche liberty e art deco. La ricerca storica è la mia grande passione.

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  1. Gianni

    21 Febbraio

    Questo post mi mette tante perplessità. Mi turba la smania di marcare in ogni particolare l’opulenza, la ricchezza, lo stato di “nababbo” del committente, arrivando a compromettere perfino la fruibilità dell’edificio. Non c’è nelle immagini riportate (tranne forse al piano superiore di quella che potrebbe essere una hall) neppure un piccolo pezzo di muro che non sia ricoperto da marmo; nel ricchissimo mosaico “l’albero della vita” di Klimt l’albero è proprio immenso; la vasca da bagno, ricavata dal pieno, è quasi un fonte battesimale; fuori si vede addirittura un giardinetto pensile; e quattro statue di bronzo in cima a una torretta dove sarebbe più indicato un parafulmine.
    Ci sono altre cose che mi turbano ancora di più: con tutti quei marmi alle pareti, come si può mettere serenamente mano a un intervento sugli-, a un aggiornamento degli- impianti? Mi viene da piangere a vedere la stanza da bagno e pensare di dover intervenire per una perdita. Qualche intervento in più di un secolo c’è stato di sicuro; come avranno fatto? Nelle immagini non si vede un radiatore, però sul tetto si sospetta un camino per una caldaia, gli impianti dell’epoca credo fossero, quando c’erano, a circolazione naturale e in tubo di ferro nero: tanti auguri! Siamo ai primi tempi degli impianti elettrici, quante volte in un secolo avranno dovuto adeguarli ai tempi? E quanto avranno tribolato e magari deteriorato l’esistente? E il telefono, e poi la televisione, e oggi internet?
    E ancora: la facciata dell’immagine sembra far parte di un lato di servizio e ha finestre molto piccole. La facciata ovest ha solo una portafinestra sul terrazzo e una finestrina nella mansarda.. E poi: la strada, trafficata, è solo a una decina di metri dal fabbricato cui avrebbe giovato un’altra decina di metri di respiro, magari isolato con delle piante: il parco lo avrebbe permesso. E oggi la facciata, con tutte quelle colate di verderame (che si sarebbero potute prevedere), avrebbe proprio bisogno di una rinfrescatina; magari senza tutti quei marmi sarebbe stato già fatto.
    Io ho sempre pensato che gli architetti sono da considerare con circospezione quando affidi loro il progetto di casa tua perché hanno come cliente più la casa che non te, nel senso che in caso di scelta tra una soluzione utile a te e una “interessante” per “abbellire” la casa non hanno il minimo dubbio. Poi ho letto Loos e ho trovato che anche lui, con ben maggiore conoscenza della questione, la pensava come me e la cosa mi ha rassicurato. Qualche dubbio in questo caso non avrebbe proprio guastato.
    Concludendo: va tutto bene se si considera questo edificio come un museo, una “cattedrale”, ma per abitarci molto molto meglio qualcosa di più a misura d’uomo.

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