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Già perché per i padovani, il Santo è la Basilica di Sant’Antonio; il Prato è la gigantesca piazza “Prato della Valle”; mentre il caffè senza porte è il caffè Pedrocchi.
Esattamente dove vi porterò oggi.
Una vera istituzione. Il più famoso della città che dal 1831 anno della sua apertura, rimane ininterrottamente aperto giorno e notte fino al 1916.
Ma che ci azzecca un capolavoro di Giuseppe Jappelli con il mondo Thonet?
Nulla, pensavo, fino a quando, quasi 20 anni fa, da un vecchio collega mi ritrovai a comprare una partita di Thonet, o meglio, una catasta di pezzi di sedie e tavolini smontati malamente. Solo un “malato” come me poteva portarseli a casa. La loro provenienza: il mitico caffé Pedrocchi di Padova.
Verità o strategie da mercante? All’epoca non ci badai più di tanto. A dirla tutta, pensavo alla solita strategia da mercante usata per dare un po’ di dignità a quella catasta di legna curvata. Una sorta di variante della storia di Gertrude Thonet che vi ho già raccontato.
Ma per quanto possa sembrare assurdo che al Pedrocchi, santuario del neoclassicismo/eclettismo, possano avere trovato posto delle sedie viennesi, l’istinto mi diceva altro. Dentro di me mantenni il dubbio (e la speranza) che fosse vero.
D’altro canto i rivenditori Thonet a Padova c’erano, erano i mobilifici del ghetto, a due passi da lì. Ma andiamo con ordine e vediamo un po’ gli elementi principali di questo incredibile caffè.
Il caffè più bello del mondo
Siamo agli inizi dell’800. Antonio Pedrocchi ha un sogno ambizioso: la realizzazione del caffè più bello del mondo.
Fatta fortuna con la torrefazione del caffè, investe i suoi guadagni acquistando passo passo tutti gli immobili intorno alla bottega ereditata dal padre, presente in Padova già dal 1772.
Quando arriva a possedere un piccolo isolato, affida il progetto all’amico Giuseppe Jappelli. Un geniale architetto/paesaggista molto attivo in Veneto nonché elemento di spicco della borghesia e della massoneria padovana.
Lo stabilimento Pedrocchi si colloca strategicamente in pieno centro affianco al Municipio e all’Università, dentro il sistema delle Piazze. Le facciate sono in stile neoclassico da cui sul retro spicca un corpo neogotico chiamato Pedrocchino che ospitava “l’offelleria” ovvero la pasticceria.
La Sala Rossa del Pedrocchi oggi e ieri (primi del ‘900)
Un racconto dell’arte
L’ interno viene concepito come un vero e proprio racconto dell’arte, secondo i canoni dell’epoca che guardano alla classicità. Dal greco, al romano, all’“Ercolano” ma anche al rinascimento, al gotico, al barocco e a quella nuova scoperta africana che è l’Egitto.
Al piano superiore, a ciascuno di questi stili, viene dedicata una stanza collocata intorno alla sala più grande: quella delle feste, con un piccolo palco per l’orchestra, la Sala Rossini.
Sala che ben presto diventa luogo di incontro per balli, concerti ma anche per riunioni massoniche e incontri di business per la ricca e colta borghesia padovana.
Un Caffè per tutti
Al piano terra invece il Caffè. Obiettivo, il massimo dell’accoglienza. Aperto a tutti 24 ore al giorno, pronto a ospitare chiunque, dal viandante affaticato all’uomo d’affari di passaggio secondo una moderna “democrazia del consumo”.
Composto da tre sale, non meno sontuose del piano nobile, arredate nei tre colori della bandiera e dunque denominate la Rossa, la Verde e la Bianca. Nella sala bianca chiunque, per statuto, ha diritto a sedere, a un bicchiere d’acqua a una presa di tabacco, ad ago e filo per rattoppare un vestito.
Oggi a parte l’acqua, l’accoglienza viene manifestata offrendo in sostituzione di ago e filo e tabacco la lettura del giornale, pratica più contemporanea anche se, forse, ancora per poco.
Da Vienna arriva la modernità
Questo dunque il Pedrocchi dello Jappelli. Se voleva fare le cose in grande, direi che ci è riuscito benissimo.
Ovviamente il tempo passa e, nei primissimi anni del ‘900, su impulso del completo rifacimento del vicinissimo albergo-ristorante Lo Storione (di cui presto vi parlerò), ecco che un’ondata di modernità, o meglio, un’ondata di Thonet travolge il lussuoso caffè.
E guarda un po’, in alcune cartoline d’epoca ho fortunosamente ritrovato le prove che quel mio anziano collega, almeno quella volta, aveva detto la verità.
È stato davvero emozionante ritrovare in queste immagini i modelli che avevo così faticosamente rimesso insieme.
La poltroncina Thonet n.3 nel catalogo del 1904 con le sue varianti
Caffè al gusto Thonet
Nella sala di lettura le sedie modello n.19 e, qualche anno dopo, la sedia 14 ½ ovvero la variante compatta della n.14 pensata proprio per i locali pubblici. Ai tavoli di lettura le poltroncine da scrittoio n. 3 e n. 53 (versione della n.3 con le gambe ruotate di 90°).
Le foto sono in bianco e nero ma visto che alcune le ho ancora, posso dirvi che erano, e sono, con le finiture palissandro e mogano.
I modelli utilizzati tutti nuovissimi: la poltroncina da scrittoio n. 3 e le sedie n.333 e n. 335.
La sedia Thonet n.333 nella pagina del catalogo del 1911
Arredi novità a catalogo
La poltroncina n. 3 da scrittoio compare per la prima volta nel catalogo della Gebrüder Thonet del 1904. È la prima sedia Thonet di una serie di varianti a montare il fortunato schienale con il fascione che va a formare schienale e bracciolo.
Elemento visto anche nella poltroncina n.714 e in molte altre della J. & J. Kohn sin dalla fine dell’800 e che ispirerà la poltroncina n. 6081 prodotta in Thonet dal 1905.
Un modello nuovissimo come nuovissimi erano i due modelli molto simili utilizzati diffusamente al piano terra e nell’offelleria, ovvero i n. 333 e n. 335.
Modelli in cui lo schienale viene realizzato con un unico elemento di compensato traforato, direttamente applicato ai due montanti senza necessità di alcun traverso.
Molto comode e molto resistenti vengono affiancate con disinvoltura alle sedie neoclassiche dell’apertura che probabilmente il tempo ha decimato e che saranno nei vari restauri sostituite con esemplari simili.
Il tavolino Thonet n.6 nel catalogo del 1904 con la doppia crociera sovrapposta
I tavolini Thonet n. 6 personalizzati
Ma la cosa che più balza all’occhio dalle foto sono i piccoli tavolini d’appoggio che quasi punteggiano le sale e che rimarranno in servizio fino alla II Guerra Mondiale e al devastante restyling degli anni 50 oggi fortunatamente rimosso.
Il basamento a quattro razze saldate a una tornitura è presente nei cataloghi Thonet dal 1904 e costituisce il piede del tavolino da servizio n. 6, oltre che di un particolare porta vassoio. In questo caso però né l’una né l’altra versione ma semplicemente un piano tornito a bordo svasato di 30 cm di diametro.
Ho ancora uno di quei piani e mi sono sempre chiesto cosa fossero. Finalmente ho la risposta. Una variante, dunque fuori catalogo, che ci fa pensare a due alternative possibili: una fornitura particolare o l’acquisto della gamba con la sola crociera a cui qualsiasi falegname avrebbe applicato il piccolo piano.
Questa foto dei “trespoli” del Pedrocchi ci permette di capire anche il motivo per cui il tavolino n. 6 ha una doppia crociera di due ampiezze diverse: una ancorata alla gamba e una ancorata al piano.
Il massimo della versatilità come da tradizione Thonet che rende la gamba un prodotto a sé stante commercializzabile anche senza il piano.
Se potessi, offrirei al collega un caffè al Pedrocchi per scusarmi di aver dubitato delle sue parole. Purtroppo non è più possibile. Le sue Thonet però, mi permettono di ricordare lui e la sua ostinazione nell’aver conservato quel groviglio di pezzi curvati per decenni, prima di affidarmelo.
Oggi il caffè attraverso un restauro filologico terminato nel 1998 è stato riportato per quanto possibile alle origini. Le Thonet non ci sono più ma vale sempre la pena fermarsi per un caffè, un sorso d’acqua, un’ occhiata al giornale e perché no, magari anche senza ago e filo, si riesce ad “attaccar bottone”.
Un caro saluto da Padova, la città del Santo (Antonio).
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