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Prodotta dalla Jacob & Josef Kohn a partire tra la fine del 1905 e l’inizio del 1906, da circa 30 anni viene denominata Sitzmachine.
In verità se digitate questa parola sui motori di ricerca il termine è spesso associato anche ad altri modelli di poltrone e dondoli. Come ad esempio a un modello disegnato da Jindrich Halabala nel 1929. O uno di Lajos Kozma nel 1920.
E ancora al dondolo “a uovo”, il modello n.267, prodotto dalla Società Anonima Antonio Volpe di Udine nel periodo della prima guerra mondiale e attribuito al genio di Max Fabiani.
Ma dove è il punto di incontro tra queste sedute, così eterogenee se non per epoca sicuramente per stile? Quello che da il senso al termine in questo contesto di utilizzo, intendo, così tipico del Nord Europa?
È nella possibilità di reclinare lo schienale o di modificare la postura dell’utilizzatore tramite un poggiapiedi o con il movimento della seduta stessa o/e dello schienale.
Le Sitzmachine di Jindrich Halabala (1929) a dx e di Lajos Kozma (1920) a sin
In arte, Le Corbusier
In effetti l’origine del termine macchina per sedersi (Sitzmaschine) sembra derivare dalle teorie di un grande architetto, un certo Charles-Edouard Jeanneret, conosciuto universalmente come Le Corbusier.
Il suo pensiero è chiaro: nell’ambito dell’architettura e delle arti applicate è necessario ridurre i molteplici bisogni individuali a poche esigenze standard. Da qui il tentativo di progetti in numero limitato, ma prodotti industrialmente in grandi numeri, al fine di soddisfare il più possibile i bisogni delle persone.
La sua passione per la poltroncina viennese Thonet B9 in legno curvato trova spazio proprio in questa sua visione tendente all’essenziale anche nelle forme.
I primi giovani architetti seguaci del suo credo cercano di individuare all’interno della sua teoria della “machines for living”, un oggetto (machine) che possa altrettanto seguire i suoi dettami. Una “machines for sitting”, appunto.
Questa interpretazione dei suoi scritti appare però subito molto forzata tanto che nel numero 430 di “The Studio” del Gennaio 1929, si ammonisce addirittura che le implicazioni del credo di Le Corbusier possano diventare troppo rigide (austere) e cupamente fuorvianti (grimly misleading).
Una seduta in movimento
Il punto è che la poltrona/sedia è di per se forse l’oggetto più statico, immodificabile e meno incline ad adattarsi a esigenze diverse. Almeno nel senso stretto del termine.
A quei tempi però esiste una tipologia di seduta che può essere d’aiuto per i seguaci di Le Corbusier: la “Morris armchair” disegnata e prodotta da William Morris nel 1866. Una poltrona con schienale reclinabile modulabile tramite un’asta in metallo fissata ai braccioli.
La Morris ben rappresenta le idee del nuovo abitare e i nuovi orizzonti stilistici. Ecco perché io credo che l’appellativo di Sitzmaschine per la poltrona n. 669 e le sue “sorelle” derivi proprio da questo modo di vedere l’arredo e dalla tipologia della “Poltrona reclinabile”. E che questo appellativo sia decisamente ben posto.
La Sitzmachine di Josef Hoffmann nella versione modello n. 670
La poltrona n. 669/n. 670 di Josef Hoffmann
Tornando al modello Kohn n. 669/n. 670, non ho mai trovato il termine Sitzmachine in pubblicazioni uscite prima di questi ultimi 30 anni. Ho infatti trovato il primo uso di questo termine sul volume “Bentwood and Metal Furniture: 1850- 1946”. È il catalogo della mostra che si tiene a New York nel 1986 presso la I.B.M. Gallery of Science and Art in 590 Madison Ave..
Tra l’altro è la mostra in cui viene svelato al mondo che il dondolo a uovo è stato prodotto dalla Volpe e non dalla Jacob & Josef Kohn come tutti pensavano fino a quel momento.
La poltrona viene attribuita subito al genio di Josef Hoffmann ma con datazioni delle più disparate. In realtà solo nel 1906 viene inserita sia sui cataloghi commerciali della Jacob & Josef Kohn, che nel catalogo della prima mostra dove viene esposta per la vendita, l’Esposizione Imperiale Austriaca di Earl’s Court a Londra dello stesso anno.
Viene descritta come “Morris armchair with moveable back” e indicata, nei cataloghi in italiano, come “grande poltrona da imbottire” .
“Morris Armchair” alla Kunstschau 1908
La dizione “Morris Armchair” sembra infatti la più corretta. La poltrona viene attribuita a Josef Hoffmann perché l’architetto austriaco la utilizza nella sua villetta all’interno della Kunstschau di Vienna nel 1908.
Questa non è la prima apparizione della poltrona in quanto 2 anni prima è utilizzata all’Esposizione Universale di Milano nella stanza della Carniola e della Carinzia. Lo stesso anno poi appare sul catalogo della mostra a Londra, già citato, ed è quindi probabile che fosse anche esposta nella capitale inglese.
Nel 1908 però la Kunstschau ha una grande risonanza. Su questa mostra vengono scritti molti articoli sui giornali e sulle riviste di arredamento e di arti applicate. La foto della poltrona con un salottino modello n.421, sempre della Jacob & Josef Kohn, viene ripresa e stampata su molte riviste a grande diffusione, come Die Kunst e Das Interieur.
Tra gli articoli di quel periodo troviamo anche le poche testimonianze della correttezza dell’attribuzione di questi modelli a Josef Hoffmann. Ad esempio su Neue Freie Presse del 15 novembre 1908 dove viene sottolineato il grande lavoro di Hoffmann con i mobili in legno curvato della Jacob & Josef Kohn.
Una poltrona denudata
Il modello n. 669 è presentato con seduta e schienale in paglia di Vienna. Nella stessa pagina di catalogo troviamo il modello n. 670 con fianchi e schienale in compensato, decorato con fori geometrici eseguiti come nello scrittoio del post su Firenze. In realtà i libri di design mostrano sempre la Sitzmachine in versione n. 670, in una configurazione non completa, cioè senza i suoi cuscini.
La poltrona è infatti commercializzata con due cuscini, uno per il sedile e uno per lo schienale che però fanno perdere la geometria del decoro che è il suo carattere distintivo. Ecco perché nei musei e nei libri di storia del design la troverete sempre senza. Molto più bella da vedere anche se decisamente scomoda da utilizzare in questa configurazione.
In Francia anni fa è stato battuto un divano con gli stessi disegni e costruzione della nostra poltrona. Un modello mai visto. Una copia o una versione limitata per un progetto ad hoc? Non avendo visto di persona l’oggetto mi rimane il dubbio.
Un altro mistero riguarda la presenza della Sitzmachine all’interno del Sanatorio di Purkesdorf nella grande Halle. Alcuni autori di saggi e siti di antiquari riportano la sua presenza. Io non ne ho mai trovato traccia in alcun documento.
Attenzione all’originale!
Questa poltrona è molto rara. Se decidete di acquistarne una fate molta attenzione. Sono state eseguite delle repliche perfette sia in Italia che in Austria (la Wittmann ad esempio) dagli anni ‘80 a oggi. Il loro valore è chiaramente diverso, molto minore, rispetto agli originali.
Sempre a proposito di questa splendida poltrona: nel 2008 mentre scrivevo “Il mobile Moderno”, ho trovato un brevetto richiesto dalla Jacob & Josef Kohn negli Stati Uniti risalente all’agosto del 1909 per un modello variante di quella poltrona.
Questa era leggermente modificata in modo tale che, ruotando i due montanti, la poltrona con lo schienale reclinabile potesse diventare o dondolo o poltrona reclinabile con tanto di poggiapiedi.
Insomma forse una vera, anzi la vera Sitzmaschine! Chissà quante cose abbiamo ancora da scoprire.
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